La Corte di Cassazione Penale ha recentemente affrontato un tema notoriamente spinoso come quello trattato nell’art. 188 del Testo Unico Ambientale (dlgs 152/2006 “oneri dei produttori e dei detentori”) che al quarto comma enuncia che i
“soggetti, enti o imprese, che provvedono alla raccolta o al trasporto dei rifiuti a titolo professionale, devono conferire i rifiuti raccolti e trasportati agli impianti autorizzati alla gestione…” degli stessi, stabilendo quindi il principio generale del dovere di controllo dell’esistenza del titolo autorizzativo del soggetto a cui si conferisce il rifiuto. Con sentenza del 9 aprile 2013, n. 16209 la Corte ha stabilito che chi trasporta rifiuti deve considerarsi un soggetto tecnicamente competente in relazione alla tipologia di attività svolta, nella quale risulta professionalmente inserito, e non può invocare la sua completa ignoranza circa la natura di quanto trasportato o disinteressarsi del tutto della natura effettiva del carico o della sua destinazione finale. Tale sentenza va inquadrata nel più generico obbligo alla diligenza nel compito professionalmente svolto. Un’ipotetica discrepanza facilmente rilevabile o comunque evidente tra la documentazione in disponibilità dell’autotrasportatore (formulario del rifiuto, registri carico/scarico, denominazione della ditta destinataria del rifiuto) e la realtà, deve costituire un chiaro campanello d’allarme che il detentore del rifiuto non può non notare e a seguito del quale deve quindi attivarsi. Nel caso pratico trattato dalla sentenza, ad esempio, la verifica dell’esistenza dell’autorizzazione in capo al titolare dell’impianto ove il rifiuto trasportato è destinato, rientra negli obblighi del trasportatore del rifiuto (anche perchè facilmente con la normale diligenza verificabilecon la normale diligenza cioè on-line nel sito dell’Albo Gestori Rifiuti o tramite l’invio della stessa via fax).
{loadposition pos1}
No comments yet.